colonscopia come screening

Il tumore del colon-retto è la seconda causa di morte per motivi oncologici sia nell’uomo che nella donna. Come tutti i tumori, è causato dalla proliferazione incontrollata di cellule che modificano la propria espressione genica e invadono l’organo da cui originano (in questo caso l’epitelio del colon) fino a disseminarsi in tutto il corpo. Rispetto ad altre patologie oncologiche, però, il tumore del colon-retto può essere facilmente prevenuto andando ad intercettare e rimuovere le cosiddette lesioni pre-cancerose (i polipi del colon) effettuando una colonscopia. Infatti, negli ultimi 20 anni, con la progressiva diffusione delle campagne di screening, si è assistito ad un progressivo calo di incidenza e mortalità di questo tumore.

Per questo motivo, negli Stati Uniti d’America è fortemente consigliato di sottoporsi periodicamente ad una colonscopia come campagna di screening a partire dai 45 anni d’età. Inoltre, questo esame viene frequentemente eseguito anche nei pazienti giovani in anche in caso di sintomi tipicamente funzionali come il meteorismo o le alterazioni della frequenza dell’alvo, che solitamente si osservano nella sindrome del colon irritabile.

In questo modo, si riesce ad intercettare e rimuovere una qualsiasi lesione precancerosa prima che il tumore del colon-retto si sviluppi. Anche nella malaugurata ipotesi in cui il tumore sia già presente, effettuando spesso colonscopie è più probabile diagnosticarlo in fase precoce, cioè quando la lesione è confinata solo nel colon, per cui è sufficiente un intervento chirurgico resettivo per risolvere il problema senza necessità di chemioterapia successiva.

Perché la colonscopia non è amata dai pazienti

D’altra parte, la colonscopia è una metodica invasiva, che consiste nell’introduzione di una sonda lunga circa un metro e mezzo all’interno dell’ano, e che può dare dolore addominale sia durante che dopo la procedura. Infatti, al passaggio attraverso i tratti più tortuosi del colon (solitamente a livello del sigma e alle flessure) il passaggio della sonda può “stirare” il mesocolon inducendo una certa dolorabilità al paziente; inoltre, al fine di avere una migliore accuratezza diagnostica, è necessario distendere il colon del paziente insufflando aria, e questa può dare un significativo discomfort post-procedura. La tollerabilità dell’esame migliora significativamente eseguendolo in sedazione cosciente o profonda, così come il meteorismo post-procedura è nettamente inferiore se si utilizza anidride carbonica come gas per l’insufflazione.

Un altro motivo che causa scarsa accettabilità della colonscopia è legato alla preparazione, che ha l’obiettivo di svuotare completamente l’intestino al fine di rendere visibile la parete del viscere, dove possono svilupparsi i polipi ed i tumori.

Va anche segnalato che la colonscopia è gravata da un minimo rischio di perforazione dell’intestino durante la procedura, che dipende fortemente sia dall’operatore che esegue l’esame che da fattori anatomici; per questo motivo, le percentuali di questa complicanza sono molto variabili nei vari studi presenti in letteratura (ma comunque sono generalmente inferiori all’1% anche in esami “operativi“, cioè dove viene rimosso un polipo).

Per questi motivi, in Europa la colonscopia non viene generalmente consigliata come metodica di screening. Questo esame viene consigliato in caso di familiarità di I grado per tumore del colon-retto, in caso di presenza di sintomi di allarme (rettorragia, perdita di peso non voluta…), in caso di alterazioni radiologiche sospette per problematiche oncologiche o infiammatorie del colon, oppure in caso di alterazioni significative degli esami ematochimici (anemia, alterazioni degli oncomarcatori…) e soprattutto dei test fecali (ricerca del sangue occulto fecale e calprotectina fecale). La ricerca del sangue occulto sulle feci è infatti la metodica di scelta anche nel nostro Paese come screening del tumore del colon-retto, riservando la colonscopia solo ai pazienti che risultano positivi.

Colonscopia o sangue occulto?

Infatti, quando si vanno a valutare problematiche di sanità pubblica, dobbiamo considerare quanto i costi di una metodica effettuata su tutta la popolazione possano effettivamente ridurre l’incidenza ed i costi correlati allo sviluppo di una problematica oncologica. Ci tengo a sottolineare che nella parola “costi” non è incluso solo l’aspetto economico (che comunque va considerato quando si parla di sanità pubblica e quindi di soldi pubblici), ma anche quello legato ai rischi sia della metodica di screening che del problema che vogliamo andare a prevenire.

In questo senso, i risultati dello studio NordICC condotto su migliaia di pazienti arruolati in Norvegia, Polonia, Svezia e Paesi Bassi e pubblicato a fine 2022 sul New England Journal of Medicine possono essere molto interessanti. In questo studio sono state selezionate casualmente dai registri nazionali un terzo delle persone tra 55 e 64 anni e sono state invitate ad eseguire una colonscopia come screening per il tumore del colon-retto. Dopo 10 anni il rischio di sviluppare un tumore del colon-retto è risultato minore del 18% nei pazienti che hanno eseguito una colonscopia di screening rispetto al tasso riscontrato nei pazienti che non hanno eseguito lo screening. Non ci sono state differenze invece riguardo al tasso di mortalità, ma questo può essere legato al follow up che probabilmente è troppo breve per trarre conclusioni di questo tipo.

D’altra parte, un problema significativo di questo studio è legato al fatto che solo il 42% delle persone invitate ad eseguire la colonscopia di screening ha effettivamente accettato di farla: siccome è verosimile che inconsciamente ogni persona esegua su se stessa un minimo di valutazione del rischio, è possibile che abbiano accettato di fare l’esame le persone che si ritenevano in qualche modo a rischio per lo sviluppo di un tumore del colon-retto (per familiarità, abitudini alimentari o perché fumatori), e pertanto i dati potrebbero essere stati indirettamente influenzati da questo fatto sbilanciando i risultati verso una maggiore efficacia dello screening endoscopico.

Inoltre, lo studio è stato pensato come confronto tra lo screening effettuato con la colonscopia vs il non-screening, per cui sarebbe ancora più interessante confrontare nel lungo periodo chi esegue le colonscopie di screening vs chi esegue periodicamente il sangue occulto (facendo ovviamente la colonscopia in caso di positività).

La verità come sempre sta nel mezzo: probabilmente effettuare la colonscopia a tappeto periodicamente su tutta la popolazione è esageratamente dispendioso per il sistema sanitario nazionale, ma determinati gruppi di pazienti non sono sufficientemente protetti dal rischio effettuando semplicemente la ricerca del sangue occulto sulle feci. Infatti, per esempio, in caso di familiarità di primo grado per tumore del colon-retto è necessario eseguire periodicamente le colonscopie ripetendo la ricerca del sangue occulto più volte negli anni in cui non si esegue l’endoscopia. Di conseguenza, questo gruppo di persone necessita di una maggiore attenzione in senso preventivo, anche se attualmente non è invitata direttamente dallo Stato ad eseguire le colonscopie (come avviene invece con la ricerca del sangue occulto). Per questo motivo, consiglio di valutare l’opportunità di eseguire la colonscopia indipendentemente dallo screening del sangue occulto caso per caso, discutendone con il proprio medico di medicina generale o con un gastroenterologo.

Colonscopia come screening?
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